Gian Piero Rabuffi presenta Ulisse

recensione di Gian Piero Rabuffi
“I segni del tempo e di una millenaria storia fatta di uomini d’arme, di commercio, di cultura, d’ arte hanno plasmato le sinuose colline marchigiane su cui poggia la nobile ed elegante Osimo. Lo stesso nome della cittadina ci riporta alle sue antiche origini, fissate dagli storici attorno al VI secolo a.C., periodo in cui colonizzatori greco-siculi penetrarono all’interno della regione. Pochi secoli dopo, la popolazione locale dei Piceni entrò nell’orbita dell’ascendente repubblica romana. Risalgono circa al 270 a.C. i due assi ordinatori attorno ai quali si organizzò la vita di Auximum ed i resti della Fonte Magna, ancora visitabili nell’odierna Osimo. Goti e bizantini si contesero in seguito il territorio e dell’influenza sociale ed artistica di questi ultimi ne è ancora oggi testimonianza la Cattedrale, caratterizzata da numerosi elementi orientaleggianti. Nel 1110 Osimo si dichiara libero Comune, ma è dal XIV secolo che la cittadina conosce una fioritura di cui sono ancora oggi evidenti i segni nei palazzi, nelle opere pubbliche, nelle Chiese. Viene eretta la cinta muraria e, sotto l’egida dei Malatesta di Rimini, l’aristocrazia della città si rende protagonista della costruzione di edifici nobiliari che ancora oggi ne determinano la fisionomia ed accomunano Osimo ad altre città marchigiane.
L’epoca dei liberi Comuni, della cultura tramandata nei monasteri, delle Arti e delle Corporazioni, della ciclica raccolta delle messi fonte di vita e prosperità costituisce dunque naturalmente per Osimo ed i suoi abitanti una memoria comune di appartenenza, il capo estremo di un filo che collega l’oggi al periodo di massimo splendore e sviluppo della cittadina. Una ideale age d’or cui rivolgere il proprio pensiero, entro le cui mura coltivare le proprie suggestioni, un coacervo di simboli e topoi che facilmente si prestano a trasfigurarsi nel mito, nel paradigma, nella metafora.
Ulisse, al secolo Rossano Massaccesi, nasce ad Osimo nel 1957 ed un legame di sangue e tradizione lo lega alla propria terra.
Autodidatta, solca i mari della ricerca pittorica facendo proda tra le principali baie, lasciandosi permeare curioso ed entusiasta da diverse correnti, ma senza mai perdere di vista la sua meta, l’obiettivo del suo percorso umano e artistico. Sono i grandi Maestri che si rifanno a quella che solitamente viene definita arte “naïve” a lasciare le suggestioni più profonde nell’animo di Ulisse. E “naïf” possiamo considerare l’autore stesso, ma con peculiarità e caratteristiche che sfumano e complicano l’accezione del termine, come si proverà a dimostrare più avanti.
La sua abbondante produzione ci rivela innanzitutto la figura di un vero e proprio Artefice, il creatore assoluto e fervidamente fantasioso di un universo plastico di grande coerenza e logicità interne, di un meccanismo vitale incredibilmente ordinato, ma allo stesso tempo straordinariamente variegato.
Il mondo di Ulisse ha la fisionomia di un antico borgo medievale, in cui non è difficile cogliere i segni ed i rimandi alla città natale dell’artista, quella in cui ancora opera e vive. Mattoni, merlature, campanili, rosoni, bifore, torrioni riempiono di sé i dipinti con la loro misura, con la loro accogliente esattezza ed imponenza. Dall’architettura della città emergono la sensibilità ed il gusto, si potrebbe quasi dire l’urgenza, per una costruzione prospettica costantemente ricercata e per la cura del dettaglio: degli edifici possiamo contare ogni singolo mattone, come possiamo contare i fili d’erba nei prati del doganiere Rousseau.
Questa città fiabesca, il cui cielo terso è solcato da rade nubi, ha i suoi abitanti: i pretini e le suorine che popolano l’universo fantastico di Ulisse.
Il clero ha costituito una parte fondamentale nella vita civile, sociale e culturale dell’Italia Centrale e la stessa Osimo gravitò a partire dal XII secolo attorno all’orbita pontificia. Ma questo non può ovviamente essere sufficiente per comprendere la trasognata ossessione di Ulisse per queste piccole e indaffarate figure di religiosi, protagoniste assolute dei suoi dipinti. Pretini, suorine, fraticelli rimandano ad una concezione idealizzata della vita dei monasteri medievali: placida, gaiamente operosa, confortata da una Fede salda e lontana dagli affanni dei negotii pubblici.
Questa l’intuizione che deve aver dato vita alla scelta esclusiva dell’artista. Ma Ulisse rielabora, approfondisce, complica il discorso. Le sue figure sono senza volto ed è egli stesso a spiegare questa scelta: “Se descrivessi il volto farei un ritratto, gli darei un’identità e trasformerei il ‘personaggio’ in ‘persona’. Il ‘simbolo’ diventerebbe un ‘singolo’, lo tramuterei in soggetto unico, in un individuo col suo carattere e la sua personalità. Questo non deve essere”. Ecco dunque che pretini e suorine pretendono di essere interpretati come universali. Anche l’abito bianco ed il velo delle religiose, la tunica vermiglia con l’ampio cappello dei curati, perdono la loro connotazione sociale per divenire semplici simboli di attribuzione di identità femminile o maschile. Sia detto per inciso: quella tra uomini e donne, figure maschili e femminili, è l’unica distinzione che l’artista accetta per i suoi personaggi ed ha il proprio esclusivo segno nel differente abito. Nessun volto e medesimo abbigliamento dunque, gli elementi per cui passa la trasfigurazione di queste creature in metafora del genere umano.
Gli abitanti della fiabesca città di Ulisse sono ritratti in piccole scene di vita quotidiana, a passeggio per le strade o a tavola od in curiose e buffe situazioni. L’ironia, la leggerezza, la voglia di giocare illuminano ed animano infatti i dipinti dell’artista, che pone i suoi personaggi nelle situazioni più improbabili. Essi banchettano, vendemmiano, simulano palii e giostre, lavorano su strane invenzioni.
Soprattutto giocano: si tendono scherzosi agguati, organizzano improbabili ed anacronistiche partite di pallone, assistono a concerti. Spesso cade soffice la neve, ma essa non è motivo di travaglio bensì di divertimento: sono frequenti le immagini in cui pretini e suorine si cimentano in battaglie a palle di neve, vanno a pattinare, pescano tra i ghiacci. A volte ritroviamo questi spensierati personaggi intenti al lavoro nei campi o impegnati in aule di tribunale o studi notarili. Ma anche queste situazioni hanno il sapore del gioco, della burlesca messinscena. C’è sempre almeno un dettaglio che sdrammatizza e svela la vera chiave di lettura, ironica e giocosa, dell’opera.
È evidente, dunque, che sia lo stesso artista a voler giocare. E lo fa con gusto. I divertiti e ripetuti anacronismi, o presunti tali, ricordano all’osservatore che non ci si trova esattamente nella Osimo del Medioevo, ma in un’altra dimensione. La genesi dei dipinti ha molto a che vedere con il sogno: in esso elementi apparentemente incoerenti ed irreali, come sedute di psicanalisi ante litteram o enormi bottiglie di spumante trascinate da più pretini, si mescolano con le immagini del paese natale che l’artista si porta dentro e trovano la loro ragion d’essere seguendo una logica altra, esattamente come durante il sonno percepiamo come vere e reali situazioni altrimenti inverosimili. E l’onirico mondo di Ulisse, osservato dal suo interno, è estremamente compatto, coerente e di grande suggestione.
Si consideri ad esempio un’opera come “La scalinata”. Il sole del meriggio cade a picco sul borgo medievale: non vi è ombra sotto la quale riposarsi. Una stretta scalinata circondata ai lati da un’ imponente muratura e da case affastellate le une sulle altre trova respiro, nella efficace taglio prospettico cercato dall’autore, in uno slargo, probabilmente una piazza, che possiamo solamente intuire. Da questa scalinata scendono, a coppie o singolarmente, diverse figure di pretini e suorine. Queste ultime, per ripararsi dal gran caldo, si coprono con un vezzoso ombrellino rosa. L’opera vibra per il senso di gioia ed impazienza dato dall’approssimarsi ad un evento festoso e speciale, la cui promessa sembra proprio avverarsi non appena lasciatisi alle spalle la grande cinta muraria.
Ci piace immaginare “La giostra dei cavalieri” come il seguito ideale di “Sfida tra cavalieri, la scena successiva ad esso. Il dedalo di stradine e viuzze si apre nella piazza, il cuore pulsante della vita sociale, economica, religiosa e culturale dei Comuni medievali. Ulisse propone una prospettiva dall’alto, quasi aerea, del borgo. Da essa emerge tutto il gusto dell’artista per la linea, la proporzione, la geometria degli edifici e dell’impianto della città. Diverse piccole figure di pretini e suorine accorrono dalle tante vie per assistere al prodigioso evento che si sta svolgendo sul piazzale: due cavalieri, armati e bardati di tutto punto sui loro destrieri spronati al galoppo, stanno per incrociare le lance. Le reazioni degli spettatori sono di stupore, meraviglia, curiosità; non di paura o ripulsa per la violenza del gesto. Loro non sanno, esattamente come chi osserva il dipinto, chi siano, da dove vengano questi cavalieri e come siano giunti a sfidarsi in una giostra nel piazzale. Ciò che conta è l’evento in sé, nel suo magico e coinvolgente divenire.
Ma, come detto, Ulisse complica e mescola le carte: i dettagli ci fanno intuire che ciò che sta avvenendo nella grande piazza è sì un evento straordinario e catalizzatore di interesse, ma non totalizzante. Un pretino ed una suorina, incuranti della giostra, brindano in intimità da due finestre vicine. I due eventi, uno pubblico, l’altro privato, convivono; il secondo sdrammatizza e relativizza il primo: il mondo di Ulisse, proprio come quello reale, è variegato, complesso, a volte apparentemente contraddittorio.
Prima di cercare di trarre delle conclusioni sulla base di questi elementi, è opportuno spendere qualche parola sulla tecnica adottata da Ulisse: una tecnica caratteristica e peculiare, basata sullo speciale trattamento a cui l’artista sottopone le tavole di legno su cui in un secondo momento dipinge ad olio. L’artista predilige attingere dalla propria tavolozza colori e tonalità caldi, forti, luminosi, che stende sulla tavola con sapienti pennellate.
Quale dunque il messaggio artistico ed umano del nostro pittore?
Non è difficile scorgere nelle buffe scenette e negli infantili diletti dei personaggi dei dipinti un sottile velo di malinconia. C’è un cono d’ombra, un malessere originario alla base della produzione dell’artista. L’onirico borgo medievale sembra prestarsi ad essere interpretato come una via di fuga, un luogo lontano dalle brutture e dalle volgarità della realtà in cui viviamo, un grande monastero di pace e armonia dove trovare rifugio e diletto. La stessa esigenza di logica, rigore, ordine trapela dalla accogliente e geometrica struttura della città nella quale vivono gli abitanti. Quasi un’ossessione, ancora una volta, per quanto benigna ed innocente. Ma come tutte le ossessioni, porta con sé un enigma, di cui ci sembra scorgere un indizio nell’insistente ricorrere del gioco degli scacchi, della scacchiera, delle sue pedine. Un rito collettivo al quale pretini e suorine si abbandonano con frequenza.
Ma sarebbe un errore voler basare la comprensione e l’interpretazione delle opere di Ulisse esclusivamente sulla base di questi elementi. Più delle cause, in Arte contano gli effetti: la ricerca dell’artista è stata sicuramente lunga e laboriosa, a tratti probabilmente sofferta e tormentata. Ma i suoi risultati parlano con benevola ironia ed intelligenza di serenità, pace, conforto, calore umano. Ed essi dobbiamo e vogliamo giudicare.
Come l’eroe omerico di cui porta il nome, Ulisse è il creatore ingegnoso di artifizi che permettono di varcare le porte di mondi altrimenti inaccessibili. Al contrario del re di Itaca però, l’artista di Osimo ci porta con le sue creazioni in un luogo interiore e magico, una riappacificante oasi di pace.
Se pretini e suorine avessero un volto esso sarebbe un sereno e disteso sorriso, lo stesso sorriso che, in ultima istanza, le opere del maestro vogliono e sanno regalare a quanti le osservano.”
di Gian Piero Rabuffi
Una risposta.
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