La fiaba figurata come opera aperta

recensione di Alfonso Padula
“Recif de la Bretonne nei suoi scritti rappresentò con precisione fotografica i costumi della nobiltà francese prima della rivoluzione. Tranne che in un punto:gli uomini si innamoravano delle dame solo per la bellezza dei loro piedi. La finzione mette a nudo difetti e miserie della realtà, ce la inimica mostrandocela insufficiente.
Per ottenere tale risultato, molteplici sono le tecniche, le modalità, i linguaggi: a ognuno i proprio! Ciò che conta è creare un surplus di vita o miraggio di altri mondi. Ulisse ha scelto di dare della realtà una visione non naturalistica, ma di sogno. Ha trasformato anche Francavilla Fontana in un luogo in cui i personaggi si incontrano con movenze leggere, aeree. Ulisse fa vivere l’illusione dell’innocenza nei rapporti umani. Ci dice che è possibile – anzi necessario! – ripristinare relazioni interpersonali libere da ipocrisie e convinzioni; relazioni da restituire al gioco schietto, senza doppiezze – perché non ha altri fini se non lo stesso gioco – e imprevedibilità tra le parti. Un’utopia che attraversa la visione ingenua della realtà sociale per restituirci immagini rasserenate; un’utopia che ci suggerisce di cambiare il mondo recuperando lo sguardo stupito e divertito del fanciullo che, a ben cercare, è in ognuno di noi.
Tuttavia l’impianto scenico dà l’impressione che le architetture chiudano lo spazio creando l’effetto della scena teatrale. Nel cielo passano nuvolette trasportate, si direbbe, da un vento fresco e mite che pulisce la scena da inutili orpelli e complicazioni, e la rende più netta e semplice. È l’annunciarsi della primavera, suppongo. C’è una luminosità uniforme che attraversa lo spazio visivo dell’opera, dovuta al fatto che le ombre non intasano la rappresentazione essendo in posizione defilata o poco marcate: l’artista ha così espulso qualsiasi accenno di drammaticità che fatalmente il gioco di luci e ombre genera.
Sulla scena danzano, giocano, suonano, infine si innalzano e scendono personaggi senza volto, per lo più pretini e suore. Nessuno dei maestri naïf – Metelli, Ligabue, Generalic, Bauchant, Serafine, Bombois, Pirosmanachvili – ha rinunciato a rappresentare i tratti espressivi dei personaggi: i loro quadri, infatti, rappresentano situazioni locali reali, modi di vivere angusti di comunità contadine chiuse e immobili nel tempo. L’assenza dei volti nei personaggi di Ulisse svela l’universalità del messaggio, poiché ciò che l’artista racconta sono desideri che appartengono a ogni uomo come a ogni donna. Spesso viene raffigurata una situazione di iniziale corteggiamento, leggero come l’aria che gli stessi personaggi sembrano respirare, e giocoso. Così accade che, chi ammira l’opera di Ulisse, si trovi immerso nell’incipit di una storia da completare: con la propria immaginazione, i propri ricordi, i propri rimpianti, i propri sogni. Quella di Ulisse è dunque un’opera aperta. Egli ci invita ad entrare nelle sue fiabe figurate e a inventarne l’intreccio. L’importante, sembra ammonire l’artista, e conservare lo stesso spirito, la stessa freschezza di interazioni di lui, fanciullo Ulisse.”
di Alfonso Padula