Ulisse, l’ironia e il gioco

Ulisse, l’ironia e il gioco

recesione di valeria orsi per ulisse in arte

recensione di Valeria Orsi

“Quanta dissonanza c’è apparentemente tra la facilità, l’ingenuità di una pittura immediata, gradevole, ironica e scanzonata, quasi dissacrante come questa e il nome dell’autore: Ulisse.
Il mito dell’uomo che ha sete di conoscenza, amante del periglioso viaggiare, eterno pellegrino sulla terra per desiderio di sapere, in realtà dipinge “suorine” e “fraticelli” indaffarati in giocose vicende quotidiane tratte dalla vita degli antichi monasteri, dei quali restano i costumi, la struttura architettonica, la costruzione complessiva dell’ambiente e dell’atmosfera, ma che presentano anacronistici particolari, oggetti e costumi moderni, che ridimensionano ogni pretesa, riportando l’osservatore in epoca pienamente contemporanea e contribuiscono a creare quella verve comica che pervade l’opera e la contraddistingue.

C’è molto nella pittura di Ulisse dello stile naif. Nella precisione del disegno, nella tendenza alla stilizzazione delle forme, nella caratterizzazione dei paesaggi e nelle scelte cromatiche. Ma c’è di più. A ben guardare proprio da quell’apparente facilità, dalla sottile vena ironica, -arma tagliente ed efficace l’ironia!- si può leggere altro oltre il dipinto.

L’ironia intanto serve per prendere le distanze dalle cose. Tutte, dai soggetti, dall’ambiente, dall’atemporalità, che significa anche astoricità. E togliendo tutto questo, ossia la collocazione precisa nello spazio e nel tempo, non c’è forse soltanto l’uomo, nella sua dimensione umana universale?

Ulisse non è un filosofo, né un pensatore, ma un uomo acuto, creativo, senza mai distogliere, tuttavia, piedi e sguardo dalla realtà concreta, reale. Realtà dalla quale, però, prende le distanze. Egli si sente fuori dal sistema, soprattutto dalle regole, dal perbenismo, dalla formalità della vita sociale. E’ consapevole di che cos’è la vita, la accetta, ma la vive a modo suo e dipingendo si diverte.

Ecco perché i suoi quadri ci piacciono, sono un po’ come un romanzo a puntate, una storia di per sé semplice, ma avvincente, dove ritrovando gli stessi personaggi e la stessa ambientazione, cambiano continuamente le vicende e le scene e il divertimento dell’autore diviene il nostro.

Sono tanti i quadri di Ulisse, una produzione vastissima, segno che la sua vena creativa si alimenta continuamente di nuovi spunti, nuove situazioni in cui colloca di volta in volta le suorine e i frati: una movimentata, affollata e allegra scena di festeggiamenti, di banchetto, oppure una pacata immagine di un gioco a due, di un lavoro antico…

Quello che cambia in ogni dipinto e si rivela come elemento fondamentale per diversificare le scene, le atmosfere, il messaggio persino dei dipinti di Ulisse è la più o meno ricca dovizia di particolari, di oggetti usati o presenti nell’ambiente, strumenti adoperati per il gioco-lavoro dei protagonisti. Ad esempio le bottiglie di coca cola, gli sci, tutte quelle ‘cose’, insomma, che sono di uso comune oggi, ma totalmente sconosciute nell’epoca rievocata.

Ulisse è marchigiano, legato alla sua terra come la lunga tradizione di artisti e letterati marchigiani che ha portato sempre con sé le proprie radici. Terra che si può facilmente ritrovare, seppur trasfigurata, negli scorci di paesaggio dei suoi dipinti, che sono una specie di scenografia teatrale, nella rigorosa e stilizzata costruzione prospettica di borghi medievali, con tetti rossi e mattoncini faccia vista, ed altri elementi tipici dell’architettura medievale (rosoni, bifore, torrioni…), lì, fermi fuori dallo spazio e dal tempo.

Cambiano le scene: da un ironico e divertito “Su e giù” in un’altalena basculante, al “Pomeriggio sugli sci”, da “Giochi di scacchi” a “La giostra dei cavalieri” e via così, la vita in questi monasteri sembra costituita da un gioco perpetuo, senza distinzione, giochi da bambini e divertimenti da adulti, tradizioni del passato e attività moderne, anche il lavoro è rappresentato come gioco, in un’aura senza tempo e senza spazio; una dimensione universale avulsa dalla realtà, in cui i protagonisti, personaggi in costante movimento, che fa da contrappunto alla staticità della scena, sono anch’essi personaggi simbolici, universali: potrebbero essere chiunque, perché non hanno volto, e sono accomunati dall’abito, uguale per tutti e per ogni situazione, l’unica distinzione nel sesso, infatti le “suorine” si distinguono dai frati solo per l’abbigliamento.

Dal punto di vista estetico l’opera risulta accattivante, piacevole da guardarsi, vuoi per la scelta cromatica, che verte sempre su colori vivi, caldi, non violenti, ma vivaci, forti, che infondono al dipinto un’intensa luminosità, e che hanno consistenza materica per la pennellata densa e pastosa, accuratamente stesa a colmare il disegno: altra componente importante, che traccia contorni netti e decisi, armonioso per l’andamento tondeggiante delle linee e la proporzionalità dell’insieme.

Ma proprio in questa armonia quasi surreale, nell’apparenza dei soggetti tutti uguali, senza volto, si può cogliere, forse, un leggero velo di tristezza, al quale spesso il comico induce, un invito a riflettere. Nel movimento concitato delle figure, specie in alcune scene, c’è forse racchiusa l’idea della fuga, dell’insoddisfazione per la propria condizione, dell’inquietudine che è tipica dell’uomo moderno, sempre alla ricerca di qualche vano desiderio.

Dio? Le suorine e i fraticelli sono figure emblematiche, che nulla hanno a che fare con la religiosità.

A Ulisse piace il mondo medievale, sceglie quell’ambientazione che gli è congeniale, ma è consapevole di essere in un’altra epoca, dove tutto è diverso e i valori sono profondamente mutati, superati, molti del tutto crollati.

Tuttavia è inutile, credo, – anche se il bello dell’opera d’arte è proprio la capacità di suscitare emozioni diverse in ciascun osservatore, la possibilità di appropriarsi dell’opera leggendovi dentro, con la propria sensibilità, significati e messaggi che la mente e l’anima vogliono cogliere, in sintonia con l’autore o no – tuttavia, dicevamo, è inutile cercare nella pittura di Ulisse chissà quali messaggi nascosti o significati simbolici. Egli ama l’arte, ama dipingere e lo fa consapevolmente, con spirito divertito e ironico, persino caustico a volte. L’ironia si avverte molto spesso già dai titoli e mette in guardia il fruitore su cosa lo aspetta. L’arte, dunque, per Ulisse diventa semplicemente un modo per esprimersi, per comunicare, per dar voce, anzi, immagine al proprio sentire, (che è poi la sua funzione primaria) ma null’altro; l’arte fine a se stessa.

Un ultimo aspetto è importante sottolineare: il rapporto, inevitabile, con le opere di alcuni pittori umbri. II paesaggio umbro di questi artisti equivale alle Marche di Ulisse, se proprio si vuol trovare un’analogia, ma lo spirito è diverso. Questi credono nella materia dei loro dipinti, la vagheggiano, quasi, avvolgendola in un sottile velo di malinconia. Attraverso l’ironia, invece, Ulisse si distacca completamente da ciò che dipinge, non ci crede e rivela spesso persino un certo scetticismo nei confronti della realtà. L’atmosfera giocosa e irridente dei dipinti di Ulisse, palesemente dichiarata, lo dividono profondamente, quindi, dagli altri, e lo collocano in una sfera sua e originale.”

di Valeria Orsi

 

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